L'aspro paesaggio dell'isola vulcanica di Pantelleria, la “perla nera del Mediterraneo”, è caratterizzato da due segni della presenza umana: i terrazzamenti, spazi rubati alla pietra lavica e dedicati alle colture della vite e dei capperi; i dammusi. Dammusu, in dialetto siciliano, vuol dire tetto (ma nella Sicilia centro orientale dammuso indica la parte della tipica casa storica modicana, buccherese e dei Monti Iblei, costituita da una grotta naturale adibita a locale di servizio).
Nel trapanese con efficace sintesi (la parte per il tutto) è la tradizionale casa dell’isola di Pantelleria, che trarrebbe le sue origini nell’architettura Fenicia, cui si farebbero risalire i primi esemplari costruiti con pietra lavica, con forma quadrata e di piccole dimensioni.
Furono però i romani a trasformare il tetto, fino ad allora piano, in una cupola. Adattamento propedeutico alla raccolta delle acque.
La cupola, oltre a rendere il tetto più sicuro dalle infiltrazioni, consentiva di canalizzare la pioggia nelle cisterne per costituire le riserve d’acqua da usare durante la lunga e secca estate pantesca.

Il dammuso, nella sua forma tipica, è composto da un grande locale, sala, su cui si affaccia la camera da letto principale, ‘l’arkova’, chiusa da una tenda, e da un ‘kammarinu’ ossia la camera da letto per i bambini, ma anche ripostiglio o dispensa.
Al dammuso principale si affiancano spesso costruzioni adibite a cucina, a deposito, a stalla o a cantina. All’esterno, davanti al prospetto principale, troviamo un terrazzo ‘u passiature’ delimitato lungo tutta la sua lunghezza dalla ‘ddukkena’ un vero e proprio sedile in muratura. Il dammuso “urbano” ha sempre la facciata principale intonacata, a differenza dei dammusi “di campagna” lasciati grezzi, a pietra viva. I pavimenti erano realizzati in cemento grezzo o, nelle case dei più abbienti, con mattonelle decorate.
Caratteristici sono gli antichi prospetti della zona sud-ovest dell’isola (Scauri - Rekhale) costituiti da una veranda chiusa con archi, oggi non più consentiti. Più di recente è d’uso aggiungere sul passiature una copertura realizzata con una struttura di canne e legno (cannizzato). Le tecniche di costruzione del dammuso sono andate evolvendo col tempo: la più antica consiste nella cosiddetta casciata. In pratica venivano realizzate due pareti di pietre più grosse, una interna ed una esterna con un intercapedine riempita di pietruzze.

I dammusi più antichi, realizzati con questa tecnica, infatti, arrivano a misurare anche due metri ed assicurano diversi vantaggi: la possibilità di ricavare armadi (stipa-mmuru) e nicchie (kasène); il mantenimento del microclima interno (fresco d’estate e caldo d’inverno). La sapienza edilizia degli isolani nel realizzare i dammusi ha tenuto conto di due fattori principali: il riparo dai venti più freddi (con le pareti esposte a nord prive di aperture) e aperture a oriente per offrire all’interno maggiore quantità di luce possibile.
Negli anni ‘40 e ‘50 i dammusi cominciarono ad essere realizzati con la “moderna” tecnica della muratura in pietra tagliata (ridotti tempi di costruzione ma maggiori costi).
Oggi i dammusi continuano ad essere costruiti ma l’unico ruolo rimasto alla pietra è quello di rivestimento esterno, nel rispetto estetico ed architettonico della tipologia abitativa locale. Molto s’è perso delle caratteristiche originali, in quanto le nuove costruzioni si sono dovute adattare alle modificate esigenze dei nostri tempi, prima tra tutte la presenza del bagno, assente del tutto originariamente.
Ciò non toglie, comunque, che le odierne interpretazioni di queste tipiche abitazioni, pur rispecchiando i gusti del progettista o del proprietario, nulla tolgono al fascino originale del vecchio dammuso.